La Client-centered Therapy consiste essenzialmente in una Teoria della Personalità, una Teoria della Terapia e una Teoria delle Relazioni Interpersonali.
Poiché Rogers pone l’accento sulla persona più che sul sintomo, non esistono, nella Client-centered Therapy, teorie etiopatogenetiche equivalenti, ad esempio, alla Teoria delle Nevrosi in psicoanalisi. Tuttavia Rogers ammette che il modello di personalità vulnerabile o incongruente (vedi oltre) corrisponde al comportamento nevrotico e a “taluni comportamenti generalmente classificati come psicotici, quali gli atteggiamenti e i comportamenti paranoidi e anche taluni comportamenti catatonici” (Rogers e Kinget, 1965). Una teoria delle psicosi è stata in seguito elaborata dal suo allievo Garry Prouty (vedi oltre).
Teoria della personalità
La teoria della personalità di Rogers compare in tutti i maggiori testi sull’argomento, quali il Lindsey Hall, il Mischell, il Pervin John, etc. Per quanto detto sopra, essa viene di solito inquadrata tra le teorie fenomenologico-esistenziali.
Qui di seguito viene riportato il modello della struttura della personalità, del funzionamento ottimale e del malfunzionamento secondo una sequenza di proposizioni. Ad ognuna di esse segue un breve commento esplicativo. Si tenta con ciò di fornire un modello soddisfacente, per quanto possibile, dal punto di vista epistemico.
1 — Ogni individuo È una totalità psico-fisica.
Si tratta del principio olistico su cui si fondano le teorie umanistiche. In base ad esso ogni elemento, organo o funzione, vede determinato e subordinato il suo significato all’unità più ampia di cui fa parte. Il principio olistico, enunciato da von Ehrenfels nel rapporto fra la percezione dei toni e quello della melodia, è stato introdotto in psicologia dalla scuola della Gestalt. Ripreso attorno agli anni ’30 da autori come Goldstein (1939) e von Bertalanffy (1928), ha avuto fecondi sviluppi, oltre che nella psicologia umanistica, nella terapia familiare, nel cognitivismo, etc.
2 — Ogni individuo tende allo sviluppo delle proprie potenzialità.
Questo principio dinamico viene denominato “tendenza attualizzante”.
Rogers riprende da Goldstein anche il concetto di tendenza attualizzante. Questo principio di direzionalità, nel senso di “teleologia oggettiva” che fonda una “teleologia soggettiva” e quindi un sistema motivazionale, definisce il rapporto individuo-ambiente. Anche questo principio ha avuto molta fortuna nelle scienze contemporanee. Nell’ambito della teoria dei sistemi, ad esempio, esso è stato enunciato da Francisco Varela (1979) con il termine di “autopoiesi”.
3 — Le sensazioni, le emozioni, gli stati d’animo, etc., presenti nell’individuo in un determinato momento costituiscono la sua “esperienza” organizzata in un “campo esperienziale”.
Nel neonato l’esperienza esaurisce la totalitÀ psicologica dell’individuo.
Il campo esperienziale (indicato anche, nei primi testi, come “campo fenomenico”), è la prima delle due grandi strutture in cui è diviso lo psichismo individuale.
Rogers è un sostenitore della dicotomia affettivo-cognitiva (Mancini, Semerari 1990) che ha profonde radici nella cultura e nella filosofia occidentali, e addirittura estende il primo termine a tutto ciò che di non-simbolico avviene nel livello psicologico (distinto da quello fisiologico): il campo esperienziale è sede di grandi eventi che possono tuttavia trovar voce soltanto attraverso la percezione e la coscienza.
4 — A partire da un certo punto dello sviluppo individuale, in base alla tendenza attualizzante, una parte dell’esperienza viene simbolizzata, cioè resa consapevole ed entra a far parte della coscienza.
Secondo Van Belle (1980), i termini simbolizzazione, consapevolezza e coscienza sono usati da Rogers come sinonimi. Anche in condizione di buon funzionamento della personalità, soltanto una parte dell’esperienza, quella la cui intensità supera un valore-soglia e che risulta significativa in base al principio dell’attualizzazione, viene simbolizzata. E’ quindi inesatto affermare, come taluni fanno (Jervis, 1990), che Rogers nega l’inconscio: una parte dell’esperienza, definita non-simbolizzabile, risulta comunque fuori dalla coscienza; è vero invece che egli mette in guardia dalla confusione semantica di questo termine da posizioni simili a quelle che verranno adottate tempo dopo, in ambito cognitivo. (Erdelyi, 1985).
5 — La continuità fra esperienza e simbolizzazione è assicurata dalla percezione.
Qualsiasi elemento esperienziale deve essere prima percepito per poi divenire cosciente. La percezione è, nell’ottica della CCT, una modalità organizzativa dell’esperienza, di natura già cognitiva. Nel trinomio esperienza-percezione-simbolizzazione dunque, i due ultimi termini sono più vicini fra loro di quanto non lo siano il primo ed il secondo.
6 — A partire da un certo punto dello sviluppo individuale, in base alla tendenza attualizzante, si differenzia una configurazione organizzata di percezioni simbolizzabili che costituisce il “concetto di sé”.
Questa è la seconda grande struttura della personalità; può definirsi come l’insieme delle percezioni e delle simbolizzazioni che l’individuo ha di se stesso e che da un lato gli permette un’autopercezione unitaria ed un senso di continuità storica, dall’altro è soggetto a continui rimodellamenti.
7 — L’individuo tende a mantenere coerente l’insieme delle proprie simbolizzazioni, in particolare quelle facenti parte del concetto di sé.
Anche per Rogers, l’uomo è un “animale epistemologico” (Guidano, 1988) che obbedisce ad un principio di coerenza interna. Tale principio, che trova diverse formulazione nell’ambito dei vari indirizzi teorici (Migone, 1991), deve la sua prima compiuta espressione a Festinger ed alla sua teoria della dissonanza cognitiva (1957). Si crea dissonanza quando un individuo ha a disposizione due nozioni contraddittorie fra loro; assumerle entrambe sarebbe pericoloso per la propria coerenza interna e questo pericolo di disorganizzazione viene avvertito sotto forma di ansia o tensione. Di regola, quindi, l’individuo tende a ridurre la dissonanza scartando una delle due informazioni o ricercandone altre che dimostrino la contraddizione solo apparente.
8 — Una buona connessione fra esperienza e concetto di sé viene definita “congruenza”.
Questa proposizione ci permette di definire ed esemplificare il funzionamento ottimale della personalità. Supponiamo, ad esempio, che nel campo esperienziale di un individuo compaia l’emozione “rabbia”. In condizioni normali essa verrà percepita, simbolizzata (“sono arrabbiato”) e immessa nel concetto di sé (ad esempio: “questa situazione mi fa arrabbiare”); tale percorso si realizza soltanto se nel concetto di sé non sono già presenti nozioni che impediscano, in base al principio della coerenza, la nuova acquisizione. Per spiegare come ciò possa accadere è necessario focalizzarsi sulla genesi del concetto di sé.
9 — A partire da un certo punto dello sviluppo individuale, in base alla tendenza attualizzante, compare il bisogno di considerazioni positiva da parte degli altri ed in particolare di figure significative dette “persone criterio” (significant social others).
Si intende come bisogno di considerazione positiva quello di amore, affetto, protezione, stima, da parte in particolare dei genitori, degli insegnanti, etc. Questo concetto ha una posizione centrale nella teoria di Rogers, il quale tuttavia si rifà esplicitamente alla trattazione di Maslow (1954, 1968).
10 — La valutazione ed i giudizi che le persone criterio manifestano nei confronti del bambino entrano a far parte del concetto di sé.
Queste valutazioni e questi giudizi soddisfano il bisogno di considerazione positiva in maniera incondizionata quando il bambino viene amato per quello che è, con pieno rispetto dei contenuti della sua esperienza, sebbene i suoi comportamenti debbano necessariamente trovare dei limiti. In questo caso il concetto di sé del bambino si svilupperà in piena armonia ed a stretto contatto con la sua esperienza.
Viceversa può accadere che tale bisogno venga soddisfatto in modo condizionato (“sei buono se provi questo sentimento, sei cattivo se provi l’altro”) rispetto ai contenuti della sua esperienza. In tal caso il bambino tenderà a sviluppare un concetto di sé che soddisfi il bisogno di considerazione positiva ma che finirà per strutturarsi in modo rigido ed eteronomico. Nell’adulto ciò creerà grossi problemi nella simbolizzazione dell’esperienza.
11 — Nel caso in cui la eventuale simbolizzazione degli elementi esperienziali sia incoerente con il concetto di sé, entrano in funzione meccanismi di difesa che proteggono quest’ultimo dalla disorganizzazione, alterando il percorso esperienza-simbolizzazione.
Il meccanismo di difesa è costituito da due fasi: la prima consiste in una presa d’atto senza piena percezione né discriminazione cosciente; il concetto è quello di “subcezione”, introdotto da McCleary e Lazarus (1949) e ripreso recentemente in ambito cognitivista (Cionini, 1991).
Nella seconda fase si può avere una vera e propria disconnessione dell’esperienza, che non verrà neppure percepita, oppure una distorsione della simbolizzazione.
L’esperienza “rabbia”, ad esempio, in un individuo il cui concetto di sé prevede: “sono una persona tranquilla”, può essere totalmente non percepita (e trovare ad esempio la sua espressione a livello fisiopatologico in una crisi ipertensiva) oppure percepita ma simbolizzata in modo distorto (“sono lievemente irritato”).
12 — La disconnessione fra l’esperienza e la coscienza comporta un aumento dell’incongruenza dell’individuo.
E’ questa la descrizione del malfunzionamento della personalità. Lo scopo primario, quello di evitare la disgregazione del Sé, è raggiunto a scapito dell’armonia emotivo-cognitiva dell’individuo; gli viene impedito di essere cosciente della sua stessa esperienza e di operare quindi liberamente le proprie scelte esistenziali. L’obiettivo della terapia è proprio quello di ristabilire la congruenza tramite una migliore integrazione tra esperienza e concetto di Sé.
Teoria della terapia
Il percorso terapeutico proposto da Rogers è, per così dire, l’inverso di ciò che ha portato alla situazione di incongruenza.
Anzitutto l’intervento va inquadrato in una connotazione aspecifica che è il “clima facilitante” caldo e sicuro della relazione. La terapia è vista come una possibilità esistenziale spesso unica nella vita di una persona, che deve permettere di effettuare il processo di autoconoscenza e autorealizzazione in condizioni ottimali di sicurezza e libertà. Il clima facilitante sta probabilmente alla base di ciò che potremmo chiamare, con Alexander, esperienza emozionale correttiva, in cui il cliente impara ad applicare a se stesso la medesima positiva e sollecita attenzione che il terapeuta ha nei suoi confronti. All’interno di questa relazione tre specifici elementi presenti nel terapeuta determinano l’efficacia dell’intervento: l’accettazione incondizionata, l’empatia e la congruenza.
La prima condizione è l’opposto dell’atteggiamento di valutazione condizionata presumibilmente applicato, a suo tempo, dai genitori. Essa è necessaria per lasciare all’individuo, rispetto a ciò che va emergendo durante la terapia, la libertà di scelta che lo conferma soggetto; si tratta dell’unica vera garanzia di un cambiamento stabile e fondato perché ancorato all’unicità dell’esperienza.
La seconda condizione è la comprensione empatica: sentire il mondo personale del cliente “come se” fosse nostro, senza però mai giungere alla totale identificazione ed essere capace di trasporlo e rimandarlo a livello verbale. Duplice è la funzione di questa modalità terapeutica: da un lato fa sì che il cliente si senta compreso fino in fondo, e qui ci vengono in mente le parole di Buber (1951): «L’uomo desidera venire confermato nel suo essere da un altro uomo e desidera avere una presenza nell’essere dell’altro. Gli uomini hanno bisogno di conferma proprio perché sono tali»; dall’altro, simbolizzando correttamente ciò che, momento per momento, è presente nel campo esperienziale, contribuisce al primario obiettivo di aumento della congruenza. Da ciò, secondo Rogers, deriva l’importanza che il cliente annette all’esattezza delle simbolizzazioni: egli cerca proprio la parola esatta che descriva il sentimento provato. Per questo è cruciale, nella formazione del terapeuta CCT, l’acquisizione di una competenza linguistica sufficiente per un’accurata trasposizione. In un interessante intervento al II Convegno della Società dell’Approccio Centrato sulla Persona, P. Migone (1991) si chiede: «Perché mai offrire empatia dovrebbe impedire di fornire al paziente nuovi strumenti cognitivi?», e propone di considerare le tre condizioni rogersiane una base su cui innestare altri tipi di intervento. Questa è certo un’ipotesi da non scartare a priori; occorre tuttavia tenere presente che l’empatia rogersiana, diversamente da quella kohutiana, che è al servizio dell’interpretazione, costituisce un intervento fenomenico specifico, con modalità proprie. Si tratta delle cosiddette tecniche del rimando empatico: la reiterazione, il riflesso del sentimento, la delucidazione, che sarebbe in questa sede troppo lungo descrivere e per cui rimandiamo al testo “Psicoterapia e relazioni umane” (Rogers e Kinget, 1965).
La terza ed ultima condizione, la congruenza, prevede che «il terapeuta sia, nell’ambito della relazione, autentico e ben integrato. Nella relazione, cioè, il terapeuta è liberamente e profondamente se stesso e la sua esperienza reale è fedelmente rappresentata nella coscienza. Non assume perciò in nessun caso atteggiamenti di circostanza» (Rogers e Kinget, 1965). Sarebbe infatti poco plausibile che egli si adoperasse per aumentare la congruenza del cliente senza essere lui stesso in questa situazione. Tuttavia, per evitare che ciò si tramuti in un dato assoluto, in una sorta di ideale di perfezione umana, Rogers contestualizza tutto ciò nell’ambito della relazione terapeutica. Essere se stessi, essere congruenti diventa sempre più difficile man mano che aumenta il grado di disturbo dei singoli clienti: perciò questa condizione è sicuramente la più difficile da gestire, ma anche quella che apre il maggior numero di soluzioni creative (anche in base allo “stile personale” del terapeuta) all’interno della relazione.
Alcuni parametri permettono di orientarsi su come e quando comunicare al cliente elementi che riguardano la congruenza del terapeuta (operazione di “trasparenza” del terapeuta congruente).
Abbiamo finora definito le caratteristiche del terapeuta efficace. Esse vanno però inquadrate all’interno di una relazione: se il cliente non è in grado di percepire queste qualità, esse sono inutili. E’ per questo che Rogers (1954) enuncia sei proposizioni che egli definisce necessarie e sufficienti a promuovere la crescita e il cambiamento.
Di queste, tre sono quelle sopra enunciate che riguardano il terapeuta, le altre si riferiscono al cliente ed alla relazione. Esse sono:
Il cliente ed il terapeuta sono in contatto psicologico
Il cliente è in uno stato di vulnerabilità o di ansia
Si verifica una comunicazione, almeno parziale, della comprensione empatica e della considerazione positiva incondizionata del terapeuta per il cliente.
È evidente che esiste tutta una serie di disturbi non definiti da questi parametri: ad esempio l’autismo (non c’è contatto psicologico), le tossicodipendenze (la vulnerabilità e l’ansia sono mascherate dalle sostanze), etc.
Si tratta di ambiti tuttora oggetto di ricerca e teorizzazione: l’obiettivo è quello di trovare tecniche di intervento specifiche che rispettino i fondamenti della CCT e mettano in grado il cliente di accedere ad una terapia “classica”. Un esempio molto interessante è quello della preterapia della schizofrenia.
Concludiamo l’argomento con un accenno al processo terapeutico. Quanto detto sulla struttura della personalità non deve fare pensare che il cliente passi da uno “stato” ad un altro “stato”. In realtà egli passa da uno stato rigido e fisso a quella continua evoluzione che è la normalità “sana”. Questo passaggio avviene lungo un continuum che Rogers, in base a una serie di sette parametri (relazione con i sentimenti ed i significati personali, grado di incongruenza, modo di esperire la realtà, modalità di comunicazione del sé, rigidità o meno dei costrutti personali, modo di porsi di fronte ai problemi, modalità della relazione), ha diviso in sette stadi.
In genere la terapia viene richiesta al secondo stadio e termina al quarto con soddisfazione reciproca, del cliente e del terapeuta, per il progresso conseguito.
Teoria delle relazioni interpersonali
La teoria delle relazioni interpersonali è il corollario delle precedenti. Sempre interessato al livello applicativo, Rogers stabilisce le coordinate delle relazioni ben funzionanti e malfunzionanti. Il capitolo XI di “Psicoterapia e relazioni umane” (Rogers, Kinget, 1961) è particolarmente interessante perché, trattando delle relazioni disfunzionali nello sviluppo del bambino, pone le basi di ciò che, in termini attuali, potremmo definire “trasmissione transgenerazionale della incongruenza” (Anfossi, 1999).
Dalla teoria delle relazioni interpersonali deriva il modello dei “gruppi di incontro”. Essi non hanno uno scopo specificamente terapeutico ma piuttosto quello di facilitare la comunicazione e la crescita personale dei partecipanti. Da questa deriva anche l’applicazione, in numerosissimi campi, dell’Approccio Centrato sulla Persona: educazione, psicologia del lavoro, risoluzione dei conflitti, relazioni di aiuto in genere, assistenza religiosa, etc.