Orientamento teorico: Approccio Centrato sulla Persona

La Client-centered The­rapy con­si­ste es­sen­zial­mente in una Teo­ria della Personalità, una Teo­ria della Terapia e una Teo­ria delle Re­la­zioni Interpersonali.

Poi­ché Ro­gers pone l’accento sulla per­sona più che sul sin­tomo, non esi­stono, nella Client-centered The­rapy, teo­rie etio­pa­to­ge­ne­ti­che equi­va­lenti, ad esem­pio, alla Teo­ria delle Ne­vrosi in psi­coa­na­lisi. Tut­ta­via Ro­gers am­mette che il mo­dello di per­so­na­lità vul­ne­ra­bile o in­con­gruente (vedi ol­tre) cor­ri­sponde al com­por­ta­mento ne­vro­tico e a “ta­luni com­por­ta­menti ge­ne­ral­mente clas­si­fi­cati come psi­co­tici, quali gli at­teg­gia­menti e i com­por­ta­menti pa­ra­noidi e an­che ta­luni com­por­ta­menti ca­ta­to­nici” (Ro­gers e Kin­get, 1965). Una teo­ria delle psi­cosi è stata in se­guito ela­bo­rata dal suo al­lievo Garry Prouty (vedi oltre).

Teo­ria della personalità
La teo­ria della per­so­na­lità di Ro­gers com­pare in tutti i mag­giori te­sti sull’argomento, quali il Lind­sey Hall, il Mi­schell, il Per­vin John, etc. Per quanto detto so­pra, essa viene di so­lito in­qua­drata tra le teo­rie fenomenologico-esistenziali.
Qui di se­guito viene ri­por­tato il mo­dello della strut­tura della per­so­na­lità, del fun­zio­na­mento ot­ti­male e del mal­fun­zio­na­mento se­condo una se­quenza di pro­po­si­zioni. Ad ognuna di esse se­gue un breve com­mento espli­ca­tivo. Si tenta con ciò di for­nire un mo­dello sod­di­sfa­cente, per quanto pos­si­bile, dal punto di vi­sta epistemico.

1 — Ogni in­di­vi­duo È una to­ta­lità psico-fisica.
Si tratta del prin­ci­pio oli­stico su cui si fon­dano le teo­rie uma­ni­sti­che. In base ad esso ogni ele­mento, or­gano o fun­zione, vede de­ter­mi­nato e su­bor­di­nato il suo si­gni­fi­cato all’unità più am­pia di cui fa parte. Il prin­ci­pio oli­stico, enun­ciato da von Eh­ren­fels nel rap­porto fra la per­ce­zione dei toni e quello della me­lo­dia, è stato in­tro­dotto in psi­co­lo­gia dalla scuola della Ge­stalt. Ri­preso at­torno agli anni ’30 da au­tori come Gold­stein (1939) e von Ber­ta­lanffy (1928), ha avuto fe­condi svi­luppi, ol­tre che nella psi­co­lo­gia uma­ni­stica, nella te­ra­pia fa­mi­liare, nel co­gni­ti­vi­smo, etc.

2 — Ogni in­di­vi­duo tende allo svi­luppo delle pro­prie po­ten­zia­lità.
Que­sto prin­ci­pio di­na­mico viene de­no­mi­nato “ten­denza at­tua­liz­zante”.
Ro­gers ri­prende da Gold­stein an­che il con­cetto di ten­denza at­tua­liz­zante. Que­sto prin­ci­pio di di­re­zio­na­lità, nel senso di “te­leo­lo­gia og­get­tiva” che fonda una “te­leo­lo­gia sog­get­tiva” e quindi un si­stema mo­ti­va­zio­nale, de­fi­ni­sce il rap­porto individuo-ambiente. An­che que­sto prin­ci­pio ha avuto molta for­tuna nelle scienze con­tem­po­ra­nee. Nell’ambito della teo­ria dei si­stemi, ad esem­pio, esso è stato enun­ciato da Fran­ci­sco Va­rela (1979) con il ter­mine di “autopoiesi”.

3 — Le sen­sa­zioni, le emo­zioni, gli stati d’animo, etc., pre­senti nell’individuo in un de­ter­mi­nato mo­mento co­sti­tui­scono la sua “espe­rienza” or­ga­niz­zata in un “campo espe­rien­ziale”.

Nel neo­nato l’esperienza esau­ri­sce la to­ta­litÀ psi­co­lo­gica dell’individuo.
Il campo espe­rien­ziale (in­di­cato an­che, nei primi te­sti, come “campo fe­no­me­nico”), è la prima delle due grandi strut­ture in cui è di­viso lo psi­chi­smo in­di­vi­duale.
Ro­gers è un so­ste­ni­tore della di­co­to­mia affettivo-cognitiva (Man­cini, Se­me­rari 1990) che ha pro­fonde ra­dici nella cul­tura e nella fi­lo­so­fia oc­ci­den­tali, e ad­di­rit­tura estende il primo ter­mine a tutto ciò che di non-simbolico av­viene nel li­vello psi­co­lo­gico (di­stinto da quello fi­sio­lo­gico): il campo espe­rien­ziale è sede di grandi eventi che pos­sono tut­ta­via tro­var voce sol­tanto at­tra­verso la per­ce­zione e la coscienza.

4 — A par­tire da un certo punto dello svi­luppo in­di­vi­duale, in base alla ten­denza at­tua­liz­zante, una parte dell’esperienza viene sim­bo­liz­zata, cioè resa con­sa­pe­vole ed en­tra a far parte della co­scienza.
Se­condo Van Belle (1980), i ter­mini sim­bo­liz­za­zione, con­sa­pe­vo­lezza e co­scienza sono usati da Ro­gers come si­no­nimi. An­che in con­di­zione di buon fun­zio­na­mento della per­so­na­lità, sol­tanto una parte dell’esperienza, quella la cui in­ten­sità su­pera un valore-soglia e che ri­sulta si­gni­fi­ca­tiva in base al prin­ci­pio dell’attualizzazione, viene sim­bo­liz­zata. E’ quindi ine­satto af­fer­mare, come ta­luni fanno (Jer­vis, 1990), che Ro­gers nega l’inconscio: una parte dell’esperienza, de­fi­nita non-simbolizzabile, ri­sulta co­mun­que fuori dalla co­scienza; è vero in­vece che egli mette in guar­dia dalla con­fu­sione se­man­tica di que­sto ter­mine da po­si­zioni si­mili a quelle che ver­ranno adot­tate tempo dopo, in am­bito co­gni­tivo. (Er­de­lyi, 1985).

5 — La con­ti­nuità fra espe­rienza e sim­bo­liz­za­zione è as­si­cu­rata dalla per­ce­zione.
Qual­siasi ele­mento espe­rien­ziale deve es­sere prima per­ce­pito per poi di­ve­nire co­sciente. La per­ce­zione è, nell’ottica della CCT, una mo­da­lità or­ga­niz­za­tiva dell’esperienza, di na­tura già co­gni­tiva. Nel tri­no­mio esperienza-percezione-simbolizzazione dun­que, i due ul­timi ter­mini sono più vi­cini fra loro di quanto non lo siano il primo ed il secondo.

6 — A par­tire da un certo punto dello svi­luppo in­di­vi­duale, in base alla ten­denza at­tua­liz­zante, si dif­fe­ren­zia una con­fi­gu­ra­zione or­ga­niz­zata di per­ce­zioni sim­bo­liz­za­bili che co­sti­tui­sce il “con­cetto di sé”.
Que­sta è la se­conda grande strut­tura della per­so­na­lità; può de­fi­nirsi come l’insieme delle per­ce­zioni e delle sim­bo­liz­za­zioni che l’individuo ha di se stesso e che da un lato gli per­mette un’autopercezione uni­ta­ria ed un senso di con­ti­nuità sto­rica, dall’altro è sog­getto a con­ti­nui rimodellamenti.

7 — L’individuo tende a man­te­nere coe­rente l’insieme delle pro­prie sim­bo­liz­za­zioni, in par­ti­co­lare quelle fa­centi parte del con­cetto di sé.
An­che per Ro­gers, l’uomo è un “ani­male epi­ste­mo­lo­gico” (Gui­dano, 1988) che ob­be­di­sce ad un prin­ci­pio di coe­renza in­terna. Tale prin­ci­pio, che trova di­verse for­mu­la­zione nell’ambito dei vari in­di­rizzi teo­rici (Mi­gone, 1991), deve la sua prima com­piuta espres­sione a Fe­stin­ger ed alla sua teo­ria della dis­so­nanza co­gni­tiva (1957). Si crea dis­so­nanza quando un in­di­vi­duo ha a di­spo­si­zione due no­zioni con­trad­dit­to­rie fra loro; as­su­merle en­trambe sa­rebbe pe­ri­co­loso per la pro­pria coe­renza in­terna e que­sto pe­ri­colo di di­sor­ga­niz­za­zione viene av­ver­tito sotto forma di an­sia o ten­sione. Di re­gola, quindi, l’individuo tende a ri­durre la dis­so­nanza scar­tando una delle due in­for­ma­zioni o ri­cer­can­done al­tre che di­mo­strino la con­trad­di­zione solo apparente.

8 — Una buona con­nes­sione fra espe­rienza e con­cetto di sé viene de­fi­nita “con­gruenza”.
Que­sta pro­po­si­zione ci per­mette di de­fi­nire ed esem­pli­fi­care il fun­zio­na­mento ot­ti­male della per­so­na­lità. Sup­po­niamo, ad esem­pio, che nel campo espe­rien­ziale di un in­di­vi­duo com­paia l’emozione “rab­bia”. In con­di­zioni nor­mali essa verrà per­ce­pita, sim­bo­liz­zata (“sono ar­rab­biato”) e im­messa nel con­cetto di sé (ad esem­pio: “que­sta si­tua­zione mi fa ar­rab­biare”); tale per­corso si rea­lizza sol­tanto se nel con­cetto di sé non sono già pre­senti no­zioni che im­pe­di­scano, in base al prin­ci­pio della coe­renza, la nuova ac­qui­si­zione. Per spie­gare come ciò possa ac­ca­dere è ne­ces­sa­rio fo­ca­liz­zarsi sulla ge­nesi del con­cetto di sé.

9 — A par­tire da un certo punto dello svi­luppo in­di­vi­duale, in base alla ten­denza at­tua­liz­zante, com­pare il bi­so­gno di con­si­de­ra­zioni po­si­tiva da parte de­gli al­tri ed in par­ti­co­lare di fi­gure si­gni­fi­ca­tive dette “per­sone cri­te­rio” (si­gni­fi­cant so­cial others).
Si in­tende come bi­so­gno di con­si­de­ra­zione po­si­tiva quello di amore, af­fetto, pro­te­zione, stima, da parte in par­ti­co­lare dei ge­ni­tori, de­gli in­se­gnanti, etc. Que­sto con­cetto ha una po­si­zione cen­trale nella teo­ria di Ro­gers, il quale tut­ta­via si rifà espli­ci­ta­mente alla trat­ta­zione di Ma­slow (1954, 1968).

10 — La va­lu­ta­zione ed i giu­dizi che le per­sone cri­te­rio ma­ni­fe­stano nei con­fronti del bam­bino en­trano a far parte del con­cetto di sé.
Que­ste va­lu­ta­zioni e que­sti giu­dizi sod­di­sfano il bi­so­gno di con­si­de­ra­zione po­si­tiva in ma­niera in­con­di­zio­nata quando il bam­bino viene amato per quello che è, con pieno ri­spetto dei con­te­nuti della sua espe­rienza, seb­bene i suoi com­por­ta­menti deb­bano ne­ces­sa­ria­mente tro­vare dei li­miti. In que­sto caso il con­cetto di sé del bam­bino si svi­lup­perà in piena ar­mo­nia ed a stretto con­tatto con la sua espe­rienza.
Vi­ce­versa può ac­ca­dere che tale bi­so­gno venga sod­di­sfatto in modo con­di­zio­nato (“sei buono se provi que­sto sen­ti­mento, sei cat­tivo se provi l’altro”) ri­spetto ai con­te­nuti della sua espe­rienza. In tal caso il bam­bino ten­derà a svi­lup­pare un con­cetto di sé che sod­di­sfi il bi­so­gno di con­si­de­ra­zione po­si­tiva ma che fi­nirà per strut­tu­rarsi in modo ri­gido ed ete­ro­no­mico. Nell’adulto ciò creerà grossi pro­blemi nella sim­bo­liz­za­zione dell’esperienza.

11 — Nel caso in cui la even­tuale sim­bo­liz­za­zione de­gli ele­menti espe­rien­ziali sia in­coe­rente con il con­cetto di sé, en­trano in fun­zione mec­ca­ni­smi di di­fesa che pro­teg­gono quest’ultimo dalla di­sor­ga­niz­za­zione, al­te­rando il per­corso esperienza-simbolizzazione.
Il mec­ca­ni­smo di di­fesa è co­sti­tuito da due fasi: la prima con­si­ste in una presa d’atto senza piena per­ce­zione né di­scri­mi­na­zione co­sciente; il con­cetto è quello di “sub­ce­zione”, in­tro­dotto da Mc­Cleary e La­za­rus (1949) e ri­preso re­cen­te­mente in am­bito co­gni­ti­vi­sta (Cio­nini, 1991).
Nella se­conda fase si può avere una vera e pro­pria di­scon­nes­sione dell’esperienza, che non verrà nep­pure per­ce­pita, op­pure una di­stor­sione della sim­bo­liz­za­zione.
L’esperienza “rab­bia”, ad esem­pio, in un in­di­vi­duo il cui con­cetto di sé pre­vede: “sono una per­sona tran­quilla”, può es­sere to­tal­mente non per­ce­pita (e tro­vare ad esem­pio la sua espres­sione a li­vello fi­sio­pa­to­lo­gico in una crisi iper­ten­siva) op­pure per­ce­pita ma sim­bo­liz­zata in modo di­storto (“sono lie­ve­mente irritato”).

12 — La di­scon­nes­sione fra l’esperienza e la co­scienza com­porta un au­mento dell’incongruenza dell’individuo.
E’ que­sta la de­scri­zione del mal­fun­zio­na­mento della per­so­na­lità. Lo scopo pri­ma­rio, quello di evi­tare la di­sgre­ga­zione del Sé, è rag­giunto a sca­pito dell’armonia emotivo-cognitiva dell’individuo; gli viene im­pe­dito di es­sere co­sciente della sua stessa espe­rienza e di ope­rare quindi li­be­ra­mente le pro­prie scelte esi­sten­ziali. L’obiettivo della te­ra­pia è pro­prio quello di ri­sta­bi­lire la con­gruenza tra­mite una mi­gliore in­te­gra­zione tra espe­rienza e con­cetto di Sé.

 

Teo­ria della terapia
Il per­corso te­ra­peu­tico pro­po­sto da Ro­gers è, per così dire, l’inverso di ciò che ha por­tato alla si­tua­zione di incongruenza.
An­zi­tutto l’intervento va in­qua­drato in una con­no­ta­zione aspe­ci­fica che è il “clima fa­ci­li­tante” caldo e si­curo della re­la­zione. La te­ra­pia è vi­sta come una pos­si­bi­lità esi­sten­ziale spesso unica nella vita di una per­sona, che deve per­met­tere di ef­fet­tuare il pro­cesso di au­to­co­no­scenza e au­to­rea­liz­za­zione in con­di­zioni ot­ti­mali di si­cu­rezza e li­bertà. Il clima fa­ci­li­tante sta pro­ba­bil­mente alla base di ciò che po­tremmo chia­mare, con Ale­xan­der, espe­rienza emo­zio­nale cor­ret­tiva, in cui il cliente im­para ad ap­pli­care a se stesso la me­de­sima po­si­tiva e sol­le­cita at­ten­zione che il te­ra­peuta ha nei suoi con­fronti. All’interno di que­sta re­la­zione tre spe­ci­fici ele­menti pre­senti nel te­ra­peuta de­ter­mi­nano l’efficacia dell’intervento: l’accettazione in­con­di­zio­nata, l’empatia e la congruenza.
La prima con­di­zione è l’opposto dell’atteggiamento di va­lu­ta­zione con­di­zio­nata pre­su­mi­bil­mente ap­pli­cato, a suo tempo, dai ge­ni­tori. Essa è ne­ces­sa­ria per la­sciare all’individuo, ri­spetto a ciò che va emer­gendo du­rante la te­ra­pia, la li­bertà di scelta che lo con­ferma sog­getto; si tratta dell’unica vera ga­ran­zia di un cam­bia­mento sta­bile e fon­dato per­ché an­co­rato all’unicità dell’esperienza.
La se­conda con­di­zione è la com­pren­sione em­pa­tica: sen­tire il mondo per­so­nale del cliente “come se” fosse no­stro, senza però mai giun­gere alla to­tale iden­ti­fi­ca­zione ed es­sere ca­pace di tra­sporlo e ri­man­darlo a li­vello ver­bale. Du­plice è la fun­zione di que­sta mo­da­lità te­ra­peu­tica: da un lato fa sì che il cliente si senta com­preso fino in fondo, e qui ci ven­gono in mente le pa­role di Bu­ber (1951): «L’uomo de­si­dera ve­nire con­fer­mato nel suo es­sere da un al­tro uomo e de­si­dera avere una pre­senza nell’essere dell’altro. Gli uo­mini hanno bi­so­gno di con­ferma pro­prio per­ché sono tali»; dall’altro, sim­bo­liz­zando cor­ret­ta­mente ciò che, mo­mento per mo­mento, è pre­sente nel campo espe­rien­ziale, con­tri­bui­sce al pri­ma­rio obiet­tivo di au­mento della con­gruenza. Da ciò, se­condo Ro­gers, de­riva l’importanza che il cliente an­nette all’esattezza delle sim­bo­liz­za­zioni: egli cerca pro­prio la pa­rola esatta che de­scriva il sen­ti­mento pro­vato. Per que­sto è cru­ciale, nella for­ma­zione del te­ra­peuta CCT, l’acquisizione di una com­pe­tenza lin­gui­stica suf­fi­ciente per un’accurata tra­spo­si­zione. In un in­te­res­sante in­ter­vento al II Con­ve­gno della So­cietà dell’Approccio Cen­trato sulla Per­sona, P. Mi­gone (1991) si chiede: «Per­ché mai of­frire em­pa­tia do­vrebbe im­pe­dire di for­nire al pa­ziente nuovi stru­menti co­gni­tivi?», e pro­pone di con­si­de­rare le tre con­di­zioni ro­ger­siane una base su cui in­ne­stare al­tri tipi di in­ter­vento. Que­sta è certo un’ipotesi da non scar­tare a priori; oc­corre tut­ta­via te­nere pre­sente che l’empatia ro­ger­siana, di­ver­sa­mente da quella ko­hu­tiana, che è al ser­vi­zio dell’interpretazione, co­sti­tui­sce un in­ter­vento fe­no­me­nico spe­ci­fico, con mo­da­lità pro­prie. Si tratta delle co­sid­dette tec­ni­che del ri­mando em­pa­tico: la rei­te­ra­zione, il ri­flesso del sen­ti­mento, la de­lu­ci­da­zione, che sa­rebbe in que­sta sede troppo lungo de­scri­vere e per cui ri­man­diamo al te­sto “Psi­co­te­ra­pia e re­la­zioni umane” (Ro­gers e Kin­get, 1965).
La terza ed ul­tima con­di­zione, la con­gruenza, pre­vede che «il te­ra­peuta sia, nell’ambito della re­la­zione, au­ten­tico e ben in­te­grato. Nella re­la­zione, cioè, il te­ra­peuta è li­be­ra­mente e pro­fon­da­mente se stesso e la sua espe­rienza reale è fe­del­mente rap­pre­sen­tata nella co­scienza. Non as­sume per­ciò in nes­sun caso at­teg­gia­menti di cir­co­stanza» (Ro­gers e Kin­get, 1965). Sa­rebbe in­fatti poco plau­si­bile che egli si ado­pe­rasse per au­men­tare la con­gruenza del cliente senza es­sere lui stesso in que­sta si­tua­zione. Tut­ta­via, per evi­tare che ciò si tra­muti in un dato as­so­luto, in una sorta di ideale di per­fe­zione umana, Ro­gers con­te­stua­lizza tutto ciò nell’ambito della re­la­zione te­ra­peu­tica. Es­sere se stessi, es­sere con­gruenti di­venta sem­pre più dif­fi­cile man mano che au­menta il grado di di­sturbo dei sin­goli clienti: per­ciò que­sta con­di­zione è si­cu­ra­mente la più dif­fi­cile da ge­stire, ma an­che quella che apre il mag­gior nu­mero di so­lu­zioni crea­tive (an­che in base allo “stile per­so­nale” del te­ra­peuta) all’interno della relazione.
Al­cuni pa­ra­me­tri per­met­tono di orien­tarsi su come e quando co­mu­ni­care al cliente ele­menti che ri­guar­dano la con­gruenza del te­ra­peuta (ope­ra­zione di “tra­spa­renza” del te­ra­peuta congruente).
Ab­biamo fi­nora de­fi­nito le ca­rat­te­ri­sti­che del te­ra­peuta ef­fi­cace. Esse vanno però in­qua­drate all’interno di una re­la­zione: se il cliente non è in grado di per­ce­pire que­ste qua­lità, esse sono inu­tili. E’ per que­sto che Ro­gers (1954) enun­cia sei pro­po­si­zioni che egli de­fi­ni­sce ne­ces­sa­rie e suf­fi­cienti a pro­muo­vere la cre­scita e il cambiamento.
Di que­ste, tre sono quelle so­pra enun­ciate che ri­guar­dano il te­ra­peuta, le al­tre si ri­fe­ri­scono al cliente ed alla re­la­zione. Esse sono:
Il cliente ed il te­ra­peuta sono in con­tatto psicologico
Il cliente è in uno stato di vul­ne­ra­bi­lità o di ansia
Si ve­ri­fica una co­mu­ni­ca­zione, al­meno par­ziale, della com­pren­sione em­pa­tica e della con­si­de­ra­zione po­si­tiva in­con­di­zio­nata del te­ra­peuta per il cliente.
È evi­dente che esi­ste tutta una se­rie di di­sturbi non de­fi­niti da que­sti pa­ra­me­tri: ad esem­pio l’autismo (non c’è con­tatto psi­co­lo­gico), le tos­si­co­di­pen­denze (la vul­ne­ra­bi­lità e l’ansia sono ma­sche­rate dalle so­stanze), etc.
Si tratta di am­biti tut­tora og­getto di ri­cerca e teo­riz­za­zione: l’obiettivo è quello di tro­vare tec­ni­che di in­ter­vento spe­ci­fi­che che ri­spet­tino i fon­da­menti della CCT e met­tano in grado il cliente di ac­ce­dere ad una te­ra­pia “clas­sica”. Un esem­pio molto in­te­res­sante è quello della pre­te­ra­pia della schizofrenia.
Con­clu­diamo l’argomento con un ac­cenno al pro­cesso te­ra­peu­tico. Quanto detto sulla strut­tura della per­so­na­lità non deve fare pen­sare che il cliente passi da uno “stato” ad un al­tro “stato”. In realtà egli passa da uno stato ri­gido e fisso a quella con­ti­nua evo­lu­zione che è la nor­ma­lità “sana”. Que­sto pas­sag­gio av­viene lungo un con­ti­nuum che Ro­gers, in base a una se­rie di sette pa­ra­me­tri (re­la­zione con i sen­ti­menti ed i si­gni­fi­cati per­so­nali, grado di in­con­gruenza, modo di espe­rire la realtà, mo­da­lità di co­mu­ni­ca­zione del sé, ri­gi­dità o meno dei co­strutti per­so­nali, modo di porsi di fronte ai pro­blemi, mo­da­lità della re­la­zione), ha di­viso in sette stadi.
In ge­nere la te­ra­pia viene ri­chie­sta al se­condo sta­dio e ter­mina al quarto con sod­di­sfa­zione re­ci­proca, del cliente e del te­ra­peuta, per il pro­gresso conseguito.

Teo­ria delle re­la­zioni interpersonali
La teo­ria delle re­la­zioni in­ter­per­so­nali è il co­rol­la­rio delle pre­ce­denti. Sem­pre in­te­res­sato al li­vello ap­pli­ca­tivo, Ro­gers sta­bi­li­sce le coor­di­nate delle re­la­zioni ben fun­zio­nanti e mal­fun­zio­nanti. Il ca­pi­tolo XI di “Psi­co­te­ra­pia e re­la­zioni umane” (Ro­gers, Kin­get, 1961) è par­ti­co­lar­mente in­te­res­sante per­ché, trat­tando delle re­la­zioni di­sfun­zio­nali nello svi­luppo del bam­bino, pone le basi di ciò che, in ter­mini at­tuali, po­tremmo de­fi­nire “tra­smis­sione tran­sge­ne­ra­zio­nale della in­con­gruenza” (An­fossi, 1999).
Dalla teo­ria delle re­la­zioni in­ter­per­so­nali de­riva il mo­dello dei “gruppi di in­con­tro”. Essi non hanno uno scopo spe­ci­fi­ca­mente te­ra­peu­tico ma piut­to­sto quello di fa­ci­li­tare la co­mu­ni­ca­zione e la cre­scita per­so­nale dei par­te­ci­panti. Da que­sta de­riva an­che l’applicazione, in nu­me­ro­sis­simi campi, dell’Approccio Cen­trato sulla Per­sona: edu­ca­zione, psi­co­lo­gia del la­voro, ri­so­lu­zione dei con­flitti, re­la­zioni di aiuto in ge­nere, as­si­stenza re­li­giosa, etc.